L’agricoltura contemporanea è chiamata ad affrontare una delle sfide più complesse della storia: aumentare la produzione per soddisfare la domanda alimentare globale, riducendo al contempo gli impatti ambientali e l’uso eccessivo delle risorse naturali. Secondo la FAO (2017), entro il 2050 la popolazione mondiale supererà i 9,7 miliardi di persone, con un incremento della domanda agricola di circa il 50% rispetto ai livelli del 2013. Questo aumento dovrà avvenire in un contesto caratterizzato da scarsità idrica, degrado del suolo, perdita di biodiversità e cambiamenti climatici sempre più evidenti (Gomiero et al., 2011).
I modelli produttivi intensivi del Novecento, che hanno privilegiato uniformità e standardizzazione, si sono rivelati insostenibili nel lungo periodo. Di fronte alla necessità di garantire sicurezza alimentare e sostenibilità ambientale, diventa indispensabile ottimizzare la gestione delle risorse a scala locale. L’agricoltura di precisione nasce in questo scenario come risposta tecnocentrica alla crisi dell’agricoltura intensiva, con l’obiettivo di “produrre di più con meno”, aumentando la produttività attraverso la conoscenza e la gestione mirata della variabilità dei sistemi agricoli.
Per secoli gli agricoltori hanno saputo, per osservazione diretta, che i campi agricoli non sono uniformi: differenze di tessitura, fertilità, umidità e microclima influenzano in modo marcato la crescita delle colture. Tuttavia, la rivoluzione meccanica del XX secolo, pur migliorando la produttività, ha favorito un modello gestionale omogeneo, in cui gli input agricoli venivano applicati uniformemente su superfici estese, ignorando la variabilità intra-parcellare (Stafford, 2000).
L’agricoltura di precisione si fonda proprio sul superamento di questo paradigma: riconoscere e gestire la variabilità spaziale e temporale del suolo e della coltura diventa l’elemento chiave di un nuovo approccio gestionale. Tale variabilità, che rappresenta la base fattuale dell’agricoltura di precisione, è alla radice del concetto di site-specific crop management, ovvero la gestione differenziata delle colture in funzione delle caratteristiche locali (Whelan et al., 1997). Questo passaggio segna l’inizio di un paradigma basato sui dati, in cui l’informazione diventa la nuova risorsa agronomica, capace di orientare le decisioni operative e migliorare l’efficienza complessiva del sistema produttivo.
L’origine dell’agricoltura di precisione è generalmente collocata tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, quando la convergenza di tecnologie informatiche e satellitari rese possibile l’acquisizione di dati georeferenziati in agricoltura. Negli Stati Uniti, l’apertura del segnale GPS per uso civile nel 1983 consentì di localizzare con precisione le operazioni agricole, mentre l’integrazione con i sistemi informativi geografici (GIS) permise di archiviare e analizzare le informazioni spaziali (Monteiro et al., 2021). Le mietitrebbie vennero equipaggiate con i primi monitor di resa, che misuravano in continuo la produttività dei campi, rendendo possibile la creazione delle prime mappe di resa (Haneklaus et al., 2016).
Parallelamente, nel Nord Europa – in particolare in Germania e Danimarca – vennero sperimentate nel 1988 le prime applicazioni a rateo variabile dei fertilizzanti, basate proprio sui dati raccolti tramite GPS (Haneklaus et al., 2016). Queste innovazioni introdussero un nuovo modello di gestione basato sulla conoscenza spaziale, in cui la tecnologia supportava l’agronomo nella lettura e interpretazione della variabilità produttiva. Si trattò di una fase ancora pionieristica, in cui il processo decisionale restava principalmente umano, ma le macchine iniziarono a essere strumenti capaci di eseguire operazioni agronomiche mirate con elevata precisione.
L’agricoltura di precisione può essere definita come un sistema di gestione agricola che utilizza informazioni georeferenziate per applicare gli input produttivi nella quantità, nel luogo e nel momento più appropriato, al fine di migliorare l’efficienza economica e ridurre gli impatti ambientali (Reichardt & Jürgens, 2009; Mulla, 2013). Non si tratta quindi soltanto di un insieme di strumenti tecnologici, ma di un approccio sistemico basato sull’informazione, che si articola in tre fasi principali:
Acquisizione dei dati, mediante sensori e sistemi di monitoraggio del suolo e delle colture;
Analisi e supporto alle decisioni, attraverso l’elaborazione dei dati per individuare zone omogenee e pianificare gli interventi;
Applicazione mirata in campo, tramite macchine e attrezzature a rateo variabile.
L’obiettivo è gestire la variabilità colturale in modo efficiente e sostenibile, riducendo sprechi di fertilizzanti, acqua e fitofarmaci. Tuttavia, la diffusione iniziale della precision agriculture è stata limitata da ostacoli economici e tecnici, come i costi elevati, la complessità di integrazione dei dati e la mancanza di interoperabilità tra sistemi (Stafford, 2000).
Nonostante ciò, essa ha rappresentato una tappa fondamentale nel processo di digitalizzazione dell’agricoltura, ponendo le basi per l’evoluzione successiva verso forme più avanzate di gestione automatizzata, note oggi come smart farming o Agricoltura 4.0 (Liu et al., 2021; Trivelli et al., 2019).
FAO (2017). The Future of Food and Agriculture: Trends and Challenges. Rome.
Gomiero, T., Paoletti, M. G., & Pimentel, D. (2011). Environmental impact of different agricultural management practices: conventional vs. organic agriculture. Agriculture, Ecosystems & Environment, 140(1-2), 1–10.
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